Le gru




Che buffo aspetto,
quasi a voler toccare il cielo nel quale alcune di noi più non volano,
figlie della pigrizia
che ha scelto il cammino al decollo,
meglio del cielo la terra e l’acqua,
se non è una è l’altra.

Vivo a lungo,
leggerezza consapevole mista a eleganza nel portamento,
un’immagine che trasuda sicurezza e stabilità,
fiera,
delineata
e dal carattere forte, senza compromessi,
appena il clima non mi sorride,
il volo è pratica mai dimenticata
e si riprende con forza il proprio spazio,
portandomi lontano verso soli più amici.


Un battito d’ali e nuovi scenari mi si presentano,

quanti ne ho visti,
ma ora sono diversi, nuovi,
urbani,
con alberi inerti e poco rigogliosi,
montagne di roccia non naturale.

Sorvolo.

Che stranezza questa nuova radura,

così statica, nella circolarità continua del suo trascorrere,
puntini colorati che si muovono come impazziti,
corsi d’acqua scavalcati,
montagne bucate.


Scendo.

Cala la notte, ma la luce continua,
anzi è più splendente di prima,
moltiplica le sue fonti e ne ribalta l’origine,
come può la luce provenire dal basso?


Atterro.

Spaesata.
Non mi riconosco,
chi sono ora immersa in tutto questo?

Il mio sguardo corre veloce, non trova alcun punto di appoggio,
sento la staticità di questa nuova terra che mi pervade,
mi condiziona,
mi vince.

Mantengo leggerezza consapevole mista a eleganza nel portamento,
un’immagine che trasuda sicurezza e stabilità,
fiera, delineata,
sostegno di altrui opere,
ho perso il volo ma non l’altezza,
non per scelta,
ma per inconscia necessità,

a cosa serve vivere a lungo in questo modo?

Forse posso svegliarmi,
il sogno scompare al mattino,
ma la curiosità è forte e qui rimango,
voglio veder come andrà a finire.

Aspettando un clima amico che mi restituisca al cielo.

Simone Zoja